Arresto cardiaco respirazione cardiopolmonare . Attualmente l’arresto cardiaco è causa di circa 17 milioni di morti con una previsione d’incremento nel futuro causa alimentazioni e stili di vita e molte altre cause che possono portare all’infarto
• Cos’è un arresto cardiaco (AC);
• Cosa significa rianimazione cardiopolmonare (RCP);
• Cos’è un defibrillatore semiautomatico esterno (DAE) e quale sia il suo ruolo durante la rianimazione cardiopolmonare.
È necessario condividere il significato di alcuni termini e concetti.
Lo facciamo con un linguaggio volutamente semplice in modo da non lasciare dubbi soprattutto
a chi non ha competenze specifiche e può avere difficoltà ad ottenere informazioni affidabili. Il
nostro scopo è poter fornire chiarimenti attendibili al maggior numero possibile di interlocutori
interessati.
L’arresto cardiaco è una condizione in cui il cuore non riesce più a far circolare il sangue ed a far arrivare ossigeno alle cellule che compongono il corpo della vittima che, di conseguenza, inizia a morire in pochissimi minuti.
La definizione di “arresto cardiaco” racchiude in sé diverse condizioni che hanno però un comune denominatore: l’interruzione della circolazione del sangue nell’organismo di chi ne è vittima. Nel sangue è contenuto l’ossigeno, elemento vitale presente nell’aria che respiriamo e di cui le cellule che compongono i nostri organi hanno bisogno per mantenersi vive e in funzione. Se l’ossigeno non viene più trasportato dal sangue fino alle cellule, queste iniziano a morire, spegnendosi come candele sotto ad un bicchiere. In base all’organo a cui appartengono e alla funzione che svolgono, le cellule si “spengono” in tempi diversi.
In particolare, le cellule del cervello (che è l’organo da cui dipende la qualità della nostra vita e molte delle nostre funzioni vitali, come la respirazione) e del cuore sono le più vulnerabili e se non ricevono ossigeno, si “spengono” quasi istantaneamente: iniziano velocemente a morire fino a rag- giungere la soglia di un danno irreversibile in una manciata di minuti. Se il cervello viene privato dell’ossigeno a causa dell’arresto cardiaco, la vittima perde coscienza e in pochi secondi smette di
respirare normalmente.
La rianimazione cardiopolmonare è una breve serie di valutazioni e azioni che servono a riconoscere l’arresto cardiaco, chiedere aiuto e attivare i soccorsi, sostenere la circolazione e la respirazione per rallentare il processo di morte.
In base a quanto detto finora, è possibile distinguere un malore generico dall’arresto cardiaco: la vittima in arresto cardiaco è priva di coscienza, non si risveglia e non reagisce se viene chiamata e scossa, non respira normalmente o non respira affatto e non mostra alcun movimento. Nelle prime fasi dell’arresto cardiaco la priorità non sta nel capire perché si è verificato ma nel saperlo riconoscere prontamente per iniziare le manovre di rianimazione cardiopolmonare.
Queste manovre sono le stesse qualsiasi sia stata la causa che ha provocato l’arresto cardiaco.
Infatti, lo scopo iniziale e cruciale è cercare di rallentare il processo di morte iniziato con l’interruzione dell’ossigenazione. Per riuscirci, il soccorritore che si sia accorto di questa condizione può sostituire in parte la funzione del cuore con manovre semplici e che non richiedono nessun tipo di strumento. Il soccorritore può far circolare il sangue della vittima fornendo almeno un po’ ossigeno di cui le cellule hanno bisogno (e di cui sono state private dall’arresto cardiaco) con la rianimazione cardiopolmonare.
Comprimendo il centro del torace con le mani poste sulla metà inferiore dello sterno, si può generare una pressione sul torace e sul cuore in grado di spingere il sangue nel sistema circolatorio verso i vari organi. Alternando queste compressioni toraciche con le ventilazioni di soccorso, si fa arrivare nuovo ossigeno nel sangue della vittima in modo che le compressioni toraciche lo spingano fino alle cellule sofferenti.
Pertanto, si può dire che una persona è in arresto cardiaco (e quindi sta morendo) quando ha perso coscienza e non si risveglia se chiamata e scossa e ha smesso di respirare normalmente e di fare altri movimenti. È utile sapere fin d’ora che l’operatore che ci risponde quando chiamiamo il 112/118 può aiutarci a riconoscere questi segni, ci può guidare a fare le manovre necessarie anche se non le conosciamo o non le ricordiamo e ci può segnalare se nelle vicinanze è disponibile un
DAE.
Qualsiasi sia la causa dell’arresto cardiaco, le manovre da fare sono sempre le stesse: chiamare il 112/118 e far cercare un DAE, comprimere il torace e, se siamo in grado di farlo e vogliamo farlo, tentare le ventilazioni di soccorso
La fibrillazione e la tachicardia ventricolari sono due aritmie caotiche che, impedendo al cuore di contrarsi correttamente, causano arresto cardiaco.
Queste condizioni possono essere riconosciute e interrotte dal defibrillatore.
Il cuore è un organo cavo che raccoglie il sangue in due camere principali chiamate ventricoli. Le pareti del cuore sono fatte di fibre muscolari: queste fibre, contraendosi e quindi accorciandosi, “spingono” il sangue che si è raccolto dentro ai ventricoli verso tubi chiamati arterie che poi, ramificandosi, raggiungono tutti gli organi. Anche se il termine “arresto cardiaco” sembra dirci che la circolazione si ferma a causa dell’immobilità del cuore, questo non è sempre vero. Infatti, durante un arresto cardiaco, le fibre muscolari del cuore si possono trovare in condizioni diverse, anche se l’effetto finale è comunque quello di
non riuscire a far circolare il sangue.
Per comprendere questo concetto, immaginate che le fibre muscolari che compongono il cuore siano le dita di una mano che debba strizzare una spugna. Per essere efficace, il movimento delle dita deve essere sincronizzato e coordinato e lasciare il tempo alla spugna di imbibirsi di nuovo prima di essere strizzata e alle dita di aprirsi completamente prima di richiudersi: questo avviene perché la contrazione dei muscoli delle dita è innescata da un segnale (un impulso elettrico) che
le raggiunge simultaneamente e le fa muovere insieme. Se questo impulso viene interrotto e non arriva più alle dita, le dita possono iniziare a muoversi indipendentemente e velocemente e si chiuderanno in modo caotico, una per volta, rendendo di fatto impossibile “strizzare” la spugna.
La fibrillazione ventricolare è proprio quella condizione in cui le cellule muscolari dei ventricoli si muovono caoticamente, senza sinergia e coordinazione perché qualcosa ha interrotto la loro attività coordinata. Hanno ancora una propria capacità autonoma di generare l’impulso elettrico
che innesca il loro movimento minuscolo ma, avendo perso la capacità di contrarsi tutte insieme, non sono più in grado di far progredire il sangue, “spingendolo” nelle arterie. Nella tachicardia ventricolare, invece, il movimento delle cellule cardiache è talmente veloce da impedire al sangue di riempire i ventricoli e a questi di dilatarsi e contrarsi per pomparlo fuori. L’effetto finale di entrambe le condizioni è che, anche se le cellule del cuore non sono ferme e “vermicolano”, il sangue non
viene spinto fuori dal cuore e la circolazione si ferma, generando l’arresto cardiaco.
Di solito, negli adulti, la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare iniziano in una por- zione del muscolo cardiaco a cui improvvisamente non arriva più sangue a sufficienza (ischemia) e poi, come un’onda anomala, si propagano a tutto il cuore. Non sempre però l’ischemia provoca l’arresto cardiaco: l’interruzione della circolazione in una porzione di cuore a causa della ostruzione di una delle arterie che la irrorano viene definita infarto del miocardio che è una condizione
grave ma, per fortuna, non corrisponde sempre all’arresto cardiaco. Nella maggior parte dei casi di “infarto cardiaco” o miocardico il paziente “rimane” vivo anche se sofferente (inizialmente lamenta dolore al petto o allo stomaco, malessere, pallore e sudore freddo) mentre nell’arresto cardiaco la vittima ha già “iniziato” a morire (perdita di coscienza, assenza di respirazione normale e di altri movimenti): quindi non sono la stessa cosa ma il primo può essere causa del secondo. In entrambi
i casi è necessario e urgente chiamare il 112/118. Ma in caso di arresto cardiaco bisogna anche iniziare la rianimazione cardiopolmonare.
In altri casi, la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare possono essere dovute ad altre malattie congenite o acquisite del cuore, a farmaci o droghe, a traumi del torace. Queste cause interrompono il normale ordine con cui le cellule si contraggono e innescano il caos nel loro movimento
L’arresto cardiaco può essere causato anche da condizioni diverse da un’aritmia caotica come la fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare; in questo caso il defibrillatore deve comunque essere applicato, anche se non è di aiuto immediato, mentre bisogna proseguire con le compressioni e le ventilazioni.
La fibrillazione ventricolare e la tachicardia ventricolare sono solo due delle modalità con cui può presentarsi un arresto cardiaco. In altre parole, quando la vittima è in arresto cardiaco, il suo cuore si può trovare anche in condizioni diverse dalla fibrillazione e dalla tachicardia ventricolari. Per tornare all’esempio della mano, il danno che ha causato l’arresto cardiaco può essere talmente grave che le dita hanno smesso completamente di muoversi e hanno perso qualsiasi capacità di generare o rispondere a un impulso elettrico. Questa condizione di completa inattività elettrica e meccanica si chiama “asistolia”.
In altri casi il cuore funzionerebbe normalmente ma non può spingere il sangue perché ci sono ostacoli meccanici che impediscono al sangue di entrare o di uscire dai ventricoli. Oppure il cuore non ha più sangue da spingere, anche se è in grado di funzionare normalmente, perché il sangue è fuoriuscitodal sistema circolatorio, come avviene in caso di emorragia molto grave (esterna o interna).
Nella stessa vittima, queste diverse condizioni (asistolia, ostacolo o aritmia) possono alternarsi nel tempo a seconda dell’evoluzione delle condizioni cliniche e del trattamento effettuato.
Pertanto, quale che sia la condizione del cuore durante l’arresto cardiaco, le cose da fare sono sempre le stesse, senza riguardo a cosa sia accaduto o stia accadendo al cuore stesso. Queste cose da fare sono la rianimazione cardiopolmonare (vedi sopra), cioè le compressioni toraciche alternate alle ventilazioni e, se disponibile, l’applicazione di un DAE (vedi sotto).
La defibrillazione è l’erogazione di una scarica elettrica sul torace della vittima che, in caso di fibrillazione o tachicardia ventricolare, può interrompere l’aritmia creando le condizioni per ripristinare un ritmo più regolare e quindi la capacità del cuore di far riprendere la circolazione.
Come detto, in tutti i casi di arresto cardiaco è necessario eseguire le compressioni toraciche e, possibilmente, le ventilazioni. L’applicazione del DAE è comunque utile perché, se la condizione del cuore durante l’arresto cardiaco è o diventerà la fibrillazione o la tachicardia ventricolare, questa macchina sarà in grado di riconoscerla e trattarla, dando al soccorritore un’arma in più per provare a salvare la vita della vittima.
Infatti, la funzione del DAE è proprio questa: analizzare in quale tipo di condizione si trovi il cuore della vittima di arresto (che non risponde, non respira e non si muove) e, nel caso rilevi fibrillazione o tachicardia ventricolare, quale che sia la causa che le abbia provocate, permettere di interrompere il caos delle cellule muscolari del cuore e ridare un ordine alla loro contrazione attraverso l’erogazione di una corrente elettrica.
Torniamo al paragone della mano che non riesce a strizzare la spugna perché le dita si muovono in maniera caotica. Immaginate di poterle bloccare contemporaneamente nella stessa posizione per una frazione di secondo e poi lasciare che si muovano di nuovo. Dopo la brevissima pausa, è possibile che le dita ripartano insieme, aprendosi e chiudendosi di nuovo in modo coordinato ed efficace.
Usando un’altra metafora, si può descrivere la fibrillazione ventricolare come una canoa in cui i vogatori hanno perso il sincronismo: le loro remate caotiche e contrastanti non riescono a far avanzare la barca. In questo caos, il capovoga a bordo della barca non riesce più a farsi sentire per dare il ritmo corretto. Se però si avvicina una barca di appoggio con un allenatore armato di megafono, il suo urlo da fuori bordo può far fermare i vogatori e permettere al capovoga di riprendere il controllo del ritmo di voga: se riesce a farli ripartire insieme, la canoa si rimetterà in moto. Lo shock del defibrillatore agisce come un urlo esterno che permette al capovoga interno di riportare ordine nel ritmo dei rematori.
Il defibrillatore ha la stessa funzione: eroga una corrente elettrica sul torace del paziente di intensità tale che almeno una parte di questa corrente raggiunga il cuore fibrillante e vi provochi una contrazione simultanea delle cellule cardiache che interrompe la loro attività caotica. In altre parole, la corrente erogata dal defibrillatore fa contrarre una massa critica di cellule del cuore nello stesso istante in cui le raggiunge e provoca una pausa nella loro attività, predisponendole alla loro sincronizzazione: se le condizioni del cuore lo permettono, dopo questa pausa le cellule potranno riprendere a contrarsi in modo coordinato e quindi a spingere il sangue verso gli organi
Il DAE è una macchina molto semplice e sicura che, applicata ad una vittima di arresto cardiaco, è in grado di riconoscere autonomamente se è presente la fibrillazione o la tachicardia ventricolare e di predisporsi per erogare la scarica elettrica adatta ad interromperla. Per erogare lo shock, però, la macchina richiede che un operatore prema l’apposito pulsante.
La peculiarità del defibrillatore semi-automatico esterno sta nel fatto che il dispositivo, una volta che sia stato collegato al paziente applicando le piastre adesive sul suo torace, è in grado di effettuare in qualche secondo l’analisi dell’attività elettrica del cuore e identificare l’eventuale presenza di fibrillazione o di tachicardia ventricolare. Nel DAE, quest’analisi parte in maniera completamente automatica una volta applicate le piastre sul torace, senza alcun altro intervento di chi sta utilizzando l’apparecchio. Se, e solo se, identifica la fibrillazione o la tachicardia ventricolare, l’apparecchio si carica; e lo fa, anche in questo caso, in modo del tutto automatico, avvertendo l’operatore con messaggi vocali e visivi che indicano che è opportuno erogare lo shock. A questo punto, il controllo torna all’operatore a cui spetta il compito di spingere il pulsante che permette al DAE di erogare lo shock.
Il defibrillatore, quindi, viene chiamato semi-automatico perché l’erogazione dello shock richiede l’intervento di un operatore che prema il pulsante apposito, altrimenti lo shock, anche se indicato, non viene erogato e viene annullato dalla macchina dopo qualche secondo di attesa. In altre parole, l’operatore non ha accesso alla fase di diagnosi della fibrillazione/tachicardia ventricolare e alla conseguente carica dell’apparecchio: queste due operazioni (analisi e carica) sono funzioni
automatiche e non modificabili dall’esterno.
I compiti dell’operatore pertanto sono:
• Accensione dell’apparecchio;
• Applicazione delle piastre;
• Valutazione della sicurezza ambientale prima dell’erogazione dello shock;
• Erogazione dello shock premendo l’apposito tasto se l’apparecchio lo ha consigliato.
La necessità di valutare la sicurezza intorno alla vittima al momento di erogare lo shock è dovuta al fatto che la corrente elettrica che attraversa il corpo della vittima potrebbe propagarsi a chi accidentalmente la sta toccando. Pertanto, è compito di chi eroga lo shock verificare che, nel momento in cui si
accinge a premere il pulsante di shock, nessuno stia toccando la vittima.
Il DAE ripete ogni due minuti l’analisi e ogni volta si preparerà o meno ad erogare lo shock a seconda del ritmo che ha identificato, avvertendo della sua decisione l’operatore con un messaggio vocale. Pertanto, una volta applicato, il DAE non deve essere staccato dalla vittima.
Esistono anche defibrillatori esterni automatici in senso stretto, non diffusi in Italia, che differiscono da quelli semiautomatici perché non attendono che sia l’operatore ad erogare lo shock, se indicato, ma procedono autonomamente con la scarica una volta dato l’avviso sonoro. Comunque, anche in questo caso, gli operatori che hanno acceso e applicato il defibrillatore sono tenuti a mantenere la sicurezza, controllando che nessuno tocchi la vittima, durante l’analisi e l’eventuale defibrillazione
Perché una vittima di arresto cardiaco abbia la probabilità più alta di sopravvivere, è necessario che si verifichino velocemente una serie di interventi che compongono una catena ideale: il riconoscimento precoce dell’arresto cardiaco, la chiamata di aiuto al 118 o al 112, le compressioni toraciche e le ventilazioni di soccorso, la defibrillazione precoce, l’intervento dei sanitari e il trasporto in ospedale per il proseguimento delle cure.
La possibilità che una vittima di arresto cardiaco possa sopravvivere dipende principalmente dal tempo perché, in assenza di manovre rianimatorie, i danni ai suoi organi e in particolare al cervello, diventano irreversibili in pochissimi minuti (5-10). Pertanto, per evitare che questo avvenga, deve innescarsi una sorta di staffetta in cui la vittima diventa il testimone di una corsa per la sopravvivenza.
La prima parte di questa staffetta la corre chi si trova accanto alla vittima, qualsiasi sia il suo ruolo, perché è lui che può riconoscere i segni dell’arresto cardiaco (perdita di coscienza, assenza di risposta alla chiamata e assenza di respiro normale) e avvertire i soccorsi chiamando il numero unico di emergenza (cosiddetto NUE,112) o il 118.
Nell’attesa che i soccorsi sanitari arrivino, chi è accanto alla vittima ha il compito cruciale di guadagnare tempo facendo arrivare almeno un po’ di ossigeno alle cellule della vittima attraverso le compressioni toraciche . Ha anche il compito di far cercare un defibrillatore nelle vicinanze e di applicarlo e accenderlo, una volta disponibile, per seguire le istruzioni che la macchina fornisce.
La staffetta per la vita continua con l’arrivo del personale sanitario e, se indicato, col trasporto della vittima in ospedale dove potrà essere sottoposta a trattamenti e indagini avanzati. Tutto questo costituisce la cosiddetta Catena della Sopravvivenza la cui forza si basa su quella di ciascuno degli anelli che la compongono: riconoscimento e chiamata al 112/118, compressioni e ventilazioni, defibrillazione precoce e, infine, soccorso avanzato. Se uno degli elementi, soprattutto quelli iniziali, non partono tempestivamente, le fasi successive perdono drammaticamente di significato
L’operatore che risponde alla chiamata telefonica di chi chiede soccorso farà una serie di domande che gli permettono di inviare prontamente il mezzo di soccorso più adeguato. Oltre a questo, tuttavia, può anche aiutare a capire se la persona che ha perso coscienza è in arresto cardiaco e può indicare come eseguire le manovre necessarie.
Inoltre, in alcuni casi, può anche individuare il DAE più vicino al luogo da dove si sta chiamando.
È importante sottolineare come l’operatore del 112/118 contattato al telefono non si limiti ad inviare l’ambulanza: attraverso una serie di domande protocollate, una preparazione specifica e il supporto tecnologico della centrale operativa, l’operatore ha almeno altre due funzioni. La prima è quella di aiutare chi chiama a verificare e confermare l’assenza dei segni di vita (e quindi la presenza di un arresto cardiaco) e fornire le istruzioni per eseguire correttamente almeno le compressioni toraciche che, nei primi minuti dopo arresto cardiaco, si sono dimostrate efficaci soprattutto nell’adulto . La seconda funzione è quella di indicare a chi chiama dove trovare il DAE più vicino e come raggiungerlo velocemente, attraverso
l’auspicabile mappatura dei DAE e la loro geolocalizzazione sul territorio. Nelle Regioni che hanno implementato dei sistemi avanzati basati su specifiche applicazioni per smartphone e su database locali, la centrale operativa può anche allertare i cittadini che abbiano aderito al programma di soccorso
rapido e che si trovino in prossimità del chiamante e chieder loro la disponibilità a raggiungerlo per portargli aiuto
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